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FIORI NELLE MANI
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Fiori nelle mani
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Il mosaico ancora incompiuto della musica gospel italiana si arricchisce di un'altra tessera che contribuirà ad impreziosirlo. Dopo il debutto discografico risalente al 1986, frutto ancora acerbo ma già succoso di una creatività artistica in espansione, Giuseppe De Chirico ritorna in grande stile con il suo nuovo lavoro Fiori nelle mani. A distanza di dieci anni da Volo, la grinta del debuttante si è forse fatta meno graffiante ma in compenso la vena del cantautore si è enormemente affinata. Oltre alle ovvie motivazioni anagrafiche (dopo tutto, un decennio è un segmento di vita non indifferente), il cambiamento è da attribuire essenzialmente alla maturazione artistica di De Chirico per il quale, considerati i suoi sempre più frequenti esperimenti poetici e pittorici, l'etichetta di musicista è diventata oltremodo stretta.

Anche al primo ascolto, appare chiaro che Fiori nelle mani, pur nella diversificazione di temi e immagini propri di una raccolta di canzoni, si gioca soprattutto sul rapporto tra padre e figlio. Il cielo sottovoce, Anche il cuore si trattiene, Piccola anima, Fuoco di libertà possono essere considerati la spina dorsale del disco; anche Splendi sole e No contengono spunti riconducibili alla medesima tematica. Questa relazione tanto vitale quanto problematica viene esplorata non con il taglio dell'analista o del moralista ma con quello poetico dell'artista. De Chirico può guardarla sia dalla prospettiva del figlio nei confronti del padre che da quella del padre nei confronti del figlio. Lui è l'uno, l'altro ed entrambi. In ogni caso, i cenni autobiografici sono l'occasione contingente che la memoria familiare offre per raccontare l'intreccio di affetti profondi, sentimenti indelebili e interazioni constanti che innervano il legame paterno-filiale.

Nell'essere condotti nei meandri di questo universo così intricato, ci si accorge che l'elaborazione di De Chirico è arricchita da una terza prospettiva che non si giustappone alle altre due ma che è, osiamo suggerire, quella centrale nel laboratorio poetico in cui le canzoni sono state composte: stiamo parlando del rapporto che intercorre tra Dio e un essere umano che Dio stesso ha adottato come suo figlio. Da credente il cui rapporto con la Bibbia è quotidiano, non deve sorprendere il fatto che il serbatoio dell'immaginario di De Chirico sia ricolmo di metafore, storie e temi scritturali. Nella Bibbia, una delle immagini per descrivere il modo in cui Dio si relaziona alle creature che si affidano a lui è proprio quella dell'adozione: Dio in Cristo dichiara suoi figli coloro che credono in lui. Egli è per loro il "Padre celeste" e loro sono per lui i "figli adottivi". Ed è proprio questo rapporto di cui De Chirico gode che pare essere il filo conduttore di Fiori nelle mani a cui gli altri due fanno da corollario.

Occorre subito precisare che non siamo in presenza di una versione edulcorata e mielosa della vita di fede cosi" troppo spesso associata alle produzioni di artisti che si professano credenti. De Chirico non sembra aver particolari pudori nel cantare apertamente sia il riconoscimento di ciò che Dio ha fatto per lui (...una storia rinata rifatta riscritta da chi si è interessato), l'inequivocabile confessione della fede (io credo in te), la valenza dell'opera di Dio per lui (...hai vinto tu per me) sia le richieste di assicurazione (...ditemi ch’è vero che Dio non si è dimenticato di me), le ammissioni di debolezza (...se il mio spirito grida cerca solo una mano) e le questioni tuttora irrisolte (tra i pensieri intrappolati dai discorsi...tra la polvere che ci spora l'anima, che ci uccide senza darcene ragione) che un legame vivo tra un figlio e il Padre lascia in sospeso. Fiducia e tensione, certezza e dubbio, franchezza e timore convivono, talvolta si scontrano, anche nell'esperienza del credente.

Tenendo presente ciò, Fiori nelle mani rimanda a voci, poesie e grida già udite. Senza voler perdere il senso delle proporzioni, alcuni testi echeggiano tracce di autoriflessione critica della fede presenti in personaggi biblici come Geremia, Giobbe, Giacomo o in interi generi letterari biblici come la letteratura sapienzale. E' apprezzabile che musicisti-poeti come De Chirico percorrano creativamente lo stesso filone riproponendo in chiave soggettiva le dinamiche che la fede innesca nel cammino di chi vive di e per fede. La lode e il dubbio sono entrambi dimensioni della fede; cantarne è un aspetto del lavoro di De Chirico.

In fondo, De Chirico pare indicare sottovoce (un avverbio a lui tanto caro) che la differenza tra chi crede e chi dubita è che quest'ultimo non dubita abbastanza e si nasconde dietro il paravento del dubbio elevato a modus vivendi mentre il primo dubita anche dei propri dubbi e si affida a Dio la cui parola è vera e le cui promesse affidabili.

Fiori nelle mani assurge allora a testimonianza della realtà del Creatore che per grazia chiama le creature ribelli "figli" e li accompagna nel tortuoso percorso della vita nell'attesa di accoglierli dentro quella casa in cui le luci sono accese a giorno...

L.D.C.
Kings College
London, England

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